Pesca artigianale

Basta il nome – Cetara dal latino Cetarìa (tonnara) – per spiegare plasticamente la naturale vocazione di un borgo che è la patria del pesce azzurro, di tonni e alici soprattutto.

 Un tempo definite povere, sono specie invece ricche di qualità organolettiche essenziali come omega 3, ferro, iodio, zinco che hanno trovato riconoscimento nella Dieta Mediterranea e che nel tempo sono diventate risorsa, ricchezza e vetrina internazionale di un borgo marinaro autentico e immutato nella sua naturale semplicità. Un borgo capace di trasformarsi in completa filiera, tre gli elementi a dominare: il mare, la tavola, il paesaggio.  Pescatori e imprenditori, ristoranti e negozi, aziende di trasformazione e di produzione artigianale: insieme a pompare l’afflato e l’afflusso del turismo enogastronomico coniugato col sapore e la bellezza del mare.

Il pesce azzurro le ha conferito fama internazionale: la colatura fa il giro del mondo mentre la flotta di tonnare resta la più grande in Europa e rivaleggia con quella nipponica.

La pesca è il Dna di Cetara.

Il porto è ancora la casa di pescatori che di giorno rammendano le reti e di sera vanno per mare: è l’unico porto della Divina dove pescherecci e piccole imbarcazioni non hanno mai lasciato spazio a yacht e nautica da diporto.

«Cetara è la pesca, la pesca è Cetara»: la frase dell’attuale sindaco Fortunato Della Monica rende bene il senso di una piccola comunità che, fiera e intraprendente, da sempre ha vissuto con il mare, di mare, a mare, per il mare. Sin dal suo primo giorno.

La flotta di Cetara riconosciuta come la migliore ai tempi della Repubblica Marinara di Amalfi, l’unica sopravvissuta a quel periodo. Sopravvissuta a razzie e carestie, capace di trasformarsi adeguandosi ai tempi senza però mai snaturarsi, sempre capace di avventurarsi in altri mari tornando sempre nel suo piccolo porto. Sui libri di storia si legge di un francescano, padre Niccola Onorati conosciuto poi come Columella, incaricato da Gioachino Murat all’inizio del 1800 di stilare un resoconto sulle attività agricole e marinare della zona. Con un sommario censimento contò 1000 unità su 2800 abitanti dedite alla pesca e all’indotto dell’attività marinara, elencò gli strumenti, registrò costi e ricavi, riportò i tipi di pescato, descrisse la produzione delle alici sotto sale.

Le alici, il pesce azzurro per antonomasia: le alici di Cetara nel tempo sono diventate il manifesto, la garanzia di salutare genuinità, un distintivo ineguagliabile come pure la colatura. Alici e altri pelagici, sgombro e sardina: i cetaresi li catturavano con una rete denominata menaide, tecnica sostituita al termine della Seconda Guerra con quella del cianciolo, rete a circuizione che racchiude il branco che si raccoglie alla fonte luminosa di una lampara. Insieme ai più potenti pescherecci, le cianciole sono quelle che ancora escono per mare, che escono dal porto di Cetara.

Diventata famosa nel mondo anche per la pesca del tonno rosso. Per secoli, e fin quasi alla Seconda Guerra, la pesca avveniva con una rete fissa calata a Erchie, ad ovest di Cetara. Gettata a Aprile, tolta a Settembre, era una complessa architettura che disegnava una sorta di gigantesca T: i tonni entravano da due corridoi e ne restavano prigionieri, per poi venire issati sui pescherecci.

Laboriosità e ingegno.

Negli anni ‘70 la pesca diventa vagativa: navigando su grandi imbarcazioni (da 250 a 435 tonnellate) i pescatori cetaresi adattano la tecnica di circuizione per le acciughe alla pesca del tonno. Le moderne imbarcazioni in cerca di branchi di tonni in altura, nel Tirreno, nell’Adriatico, nel Mediterraneo meridionale. L’apice della flotta negli anni ’80, ben 22 pescherecci. Oggi sono rimaste solo alcune barche di altura, con stive profonde, torrette di avvistamento, gru elettriche per sollevare in modo agevole le reti. La flotta tonniera cetarese resta però seconda solo alle potenti navi giapponesi per tonnellaggio e per quantità di pesce pescato.